C’era chi, tra i promotori, sognava la “grande spallata” contro il governo Meloni. Invece la serata del 9 giugno 2025 si è chiusa con tutt’altro copione: l’affluenza si è fermata attorno al 30 %, ben lontana dal 50 % + 1 richiesto dalla Costituzione, e i cinque quesiti (quattro sul lavoro, uno sulla cittadinanza) sono naufragati prima ancora dello spoglio definitivo.

Il boicottaggio che ha fatto centro. Giorgia Meloni ci aveva messo la faccia: “Andrò al seggio per rispetto delle urne, ma non ritirerò la scheda: l’astensione è un diritto”. Un messaggio chiaro, amplificato da tutta la coalizione di centro-destra e dal vicepremier Matteo Salvini, che ha invitato addirittura a “inasprire” le norme sulla cittadinanza.

La strategia ha funzionato: con un elettore su tre appena recatosi alle urne – e non tutti, peraltro, hanno ritirato tutte le schede – il quorum è rimasto un miraggio. «Niente quorum, niente partita», ha commentato lapidario Antonio Tajani nelle prime ore del pomeriggio.

Sinistra in frantumi, CGIL in bilico. Sul fronte opposto, il clima è da lunedì di resa dei conti. Maurizio Landini ha riconosciuto «una giornata che certo non possiamo chiamare vittoriosa», parlando di “14 milioni di voti da cui ripartire”, ma la base sindacale rumoreggia: la campagna referendaria era uno dei cavalli di battaglia del suo mandato, ora più che mai esposto al logorio interno.
Non va meglio ai partiti: il Partito Democratico, che sul referendum ha investito capitale politico sperando di rinsaldare l’alleanza con M5S e Sinistra italiana, si ritrova con le tasche bucate e una coalizione più divisa di prima. “Armata Brancaleone”, mormora qualcuno nei corridoi di Montecitorio.

Cosa cambia (e cosa no) negli equilibri istituzionali. Sul piano formale, non cambia nulla: le leggi contestate restano intatte. Ma nella narrazione politica si apre una faglia profonda. Se il quorum fosse stato centrato – magari con un “Sì” prevalente – oggi avremmo un esecutivo costretto a gestire una sconfitta simbolica e un’opposizione galvanizzata. È accaduto l’esatto contrario: Palazzo Chigi esce rafforzato, mentre le forze di minoranza si rimpallano le colpe di un flop annunciato.

Il risultato, consolidato in poche ore, spiana al governo una lunga discesa verso il 2027. Certo, restano dossier roventi (PNRR, guerra in Ucraina, inflazione, crisi energetica), ma la maggioranza può affrontarli senza il fiato sul collo di una piazza “referendaria” in ebollizione. Al contrario, l’opposizione dovrà stemperare la «ruggine» accumulata in queste settimane e trovare una nuova agenda che non sembri l’ennesima rincorsa al voto di protesta. La campagna elettorale per le politiche del 2027 è iniziata.

La legislatura dopo il 9 giugno. Ogni legislatura è un racconto a tappe; quella attuale, da stasera, prosegue con un capitolo in cui il governo appare più saldo: Centro-destra cementato – L’astensione di massa diventa un collante ulteriore tra FdI, Lega e Forza Italia. Un successo tattico che potrà essere speso nei prossimi appuntamenti europei e locali. Sindacato in cerca di bussola – La CGIL, anima del comitato referendario, incassa un duro colpo. Si aprono scenari di successione o, almeno, di “grande revisione” interna. Opposizione a pezzi – Schlein, Conte e i loro alleati hanno perso l’occasione di mostrarsi alternativi in modo credibile. Il rischio ora è una danza di blaming reciproco che congeli l’iniziativa politica. Agenda di governo più libera – Palazzo Chigi può rilanciare i dossier identitari: riforme costituzionali (premierato), stretta sull’immigrazione, fisco. Con i numeri parlamentari blindati, ogni ostacolo esterno appare meno minaccioso.

Finale d’effetto: una sedia vuota. Immaginate la scena: un seggio con le luci ancora accese e le schede intonse che nessuno è passato a ritirare. Quella sedia vuota racconta meglio di mille comunicati la disfatta di chi voleva trasformare il referendum in un plebiscito anti-Meloni. La politica, però, è faccenda testarda: domani ricomincerà il gioco delle parti. Ma il punteggio, intanto, è sul tabellone – ed è un 0-1 che pesa.

Il centro-destra ringrazia e incassa. L’opposizione riparta pure dalle analisi del day after: la strada verso il 2027, per ora, scivola in lieve discesa per chi siede a Palazzo Chigi. E in politica, come nel ciclismo, le tappe in discesa sono quelle in cui fai più chilometri con meno fatica, mentre gli avversari devono ancora capire quale rapporto ingranare.

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