
(l’arte di segare il ramo su cui si è seduti)
La memoria corta e la “carega” lunga. C’è un filo sottile — ma non troppo — che lega le intemerate odierne del consigliere Claudio Cia ai proclami di appena dieci giorni fa. Venerdì tuonava contro “i nomi calati dall’alto”, scagliandosi contro la candidatura di Ilaria Goio e contro Fratelli d’Italia che, a suo dire, avrebbe imposto un volto estraneo al tessuto civico. Oggi, armato di tabelle, percentuali e anatemi moralizzanti, ci spiega perché il centrodestra ha perso. A quanto pare, il passato si resetta in fretta quando la “carega” — la poltrona — scricchiola.
Eppure, la foto di Cia in trasferta a Roma, “benedetto” da Giorgia Meloni, non l’abbiamo certo sognata. Allora il simbolo di Fratelli d’Italia era comodo come un autobus di linea: ci sali, ti fai portare oltre l’ostacolo, poi scendi alla fermata successiva e sputi sul parabrezza. Coerenza? Fermata facoltativa.
Numeri come foglie secche. Il consigliere sfoggia percentuali con l’aria di chi ha scoperto il motore a scoppio. Affluenza al 49,93%, scarto di 28 punti, liste sotto il 15%… Sono dati veri, nessuno lo nega. Ma a che serve sventolarli quando è proprio chi li agita ad aver segato l’albero su cui crescevano?
La politica, piaccia o no, è fiducia collettiva, non ragioneria da retrobottega. E la fiducia la si logora quando si rema contro la propria coalizione per mesi, quando si impugna il machete degli attacchi personali invece del bisturi della critica costruttiva, quando si presta manforte a quella stampa che trasforma ogni incertezza in prima pagina acida.
L’autobus del giorno dopo. Chi militava a destra — quella vera, fatta di comunità e militanza, non di comparsate televisive — ha imparato sulla propria pelle che i fronti si vincono insieme o si perdono da soli. Il centrodestra trentino questa lezione l’ha dimenticata, e lo ha fatto anche grazie alle pugnalate di casa. Ora Cia disegna scenari da Cassandra e avverte che bisogna “ascoltare il territorio”. Benissimo: il territorio lo ha ascoltato quando, a Roma, si siglavano accordi? Lo ha ascoltato quando — con un occhio al cronometro elettorale — si sparava a pallettoni contro la candidata “imposta”?
La verità, più semplice dei suoi grafici, è che alcuni esplorano le vie del consenso come turisti con il biglietto giornaliero: salgono, scendono, cambiano corsia, purché la meta resti quella poltrona in Provincia che fra pochi mesi tornerà a chiamare. Chissà quale stemma avrà l’autobus la prossima volta.
Costruire ponti, non carri allegorici. Il centrodestra non ha perso perché “Roma decide” e Trento obbedisce: ha perso perché, anziché pensare alla rotta, si è avvitato in una corsa a chi smentisce per primo l’alleato di ieri. L’elettore lo percepisce, eccome. Avverte la stonatura di chi finge armonia sul palco e poi, dietro le quinte, sparge sale sulle ferite comuni.
Se vogliamo davvero ricucire il rapporto con quella metà di cittadini che non è andata alle urne, occorre più umiltà e meno narcisismo numerico. Meno monologhi da tribuna, più lavoro di squadra, più tavoli veri e meno conferenze stampa autoreferenziali. Per una volta, proviamo a chiedere scusa al nostro popolo prima di chiedere il suo voto.
Epilogo (provvisorio, si spera). Vergognoso? Sì, e lo diciamo senza infingimenti: vergognoso che un consigliere eletto sotto certi colori usi quegli stessi colori come bersaglio mobile per prepararsi una nuova livrea. Chi costruisce davvero la casa comune non passa il tempo a contare i mattoni mancanti — li mette. Chi crede nella coalizione non diserta il cantiere dopo la foto di rito.
Al consigliere Cia lasciamo dunque due domande semplici, senza percentuali: Quale ponte ha costruito, mentre accusava gli altri di demolire? Quale autobus prenderà alle prossime Provinciali, quando servirà ancora una volta una corsa gratuita verso la ribalta? Il centrodestra ha bisogno di pontieri, non di autostoppisti dell’ultim’ora. Se davvero vogliamo rialzare la testa, cominciamo a riconoscere i sabotatori interni. Poi, sì, parliamo pure di numeri — quando avremo di nuovo una casa degna di essere abitata.
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