
C’è un Paese che oggi discute se bombardare o negoziare, mentre un tempo bastava un clic sul coperchio di vetro per sciogliere le tensioni nell’Ala Ovest (West Wing). Quel coperchio chiudeva un contenitore di jelly beans, le minuscole caramelle gommose che sigillarono l’immagine pubblica di Ronald Reagan quanto il suo celebre «Mr. Gorbachev, tear down this wall». Ma com’è possibile che un ex attore, convertito alla Realpolitik anti-sovietica, si sia fatto ricordare per un tripudio di zucchero aromatizzato?
Tutto nasce nel 1966, quando Reagan, governatore in pectore della California, tenta di smettere di fumare la pipa sostituendo nicotina con cariche di coloratissimi legumi di gelatina. È la classica metamorfosi americana: dal vizio aristocratico al piacere infantile, dal fumo all’aroma di “Very Cherry”. Da allora, l’uomo non si stacca più dal suo piccolo talismano — e non è solo questione di palato. Quei granelli diventano linguaggio politico, rassicurazione tattile, simbolo di accessibilità. foodrepublic.comamericacomesalive.com
Arrivato alla Casa Bianca, Reagan sigla un patto non scritto con la Jelly Belly: 720 sacchetti al mese di provviste istituzionalizzate. Ciascun dipartimento federale riceve la sua quota di glicemia patriottica; il Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms si ritrova a distribuire caramelle mentre confisca whisky di contrabbando. Per trasportarle degnamente, la presidenza commissiona un barattolo di cristallo con sigillo presidenziale: emblema di come perfino lo zucchero, sotto la lente giusta, diventi soft power. time.comebay.com
Il picco arriva il 20 gennaio 1981. A Washington si versa un fiume tricolore — rosso Very Cherry, bianco Coconut e, per l’occasione, un inedito blu Blueberry, creato apposta per completare la bandiera: tre tonnellate e mezza di caramelle atterrano nella capitale per l’insediamento presidenziale. Chi voleva assistere alla nascita della Reaganomics si ritrova immerso in una orgia cromatica più pop di Warhol. Potenza del marketing: trasformare l’Inauguration Day in uno spot da masticare. reaganlibrary.govnewscentermaine.com
Da quel momento, ogni riunione del Cabinet ostenta il medesimo barattolo: fissare la Nato? Prima, un’assaggio di Juicy Pear. Persino l’Air Force One viene equipaggiato con un supporto anti-turbolenza per evitare che il dolce tesoro voli via durante le virate strategiche. Il comandante in capo poteva anche tenere un dito sulla “Nuclear football”, ma ne aveva uno altrettanto pronto a pescare un fagiolino alla cannella. E l’immagine funziona: l’opinione pubblica assorbe la narrazione di un Presidente “vicino alla gente”, perfino snack-friendly. tastewiththeeyes.com
In controluce, però, la metafora è più complessa. Reagan, campione del libero mercato, sceglie una caramella nata in California ma prodotta a scala nazionale — un micro-manifesto della consumer culture. La dolcezza quotidiana anestetizza i contrasti: mentre esplode lo scandalo Iran-Contra, l’opinione pubblica continua a sorridere al barattolo sulla scrivania. Ciò che per Marx sarebbe stato “oppio dei popoli” diventa qui glucosio delle masse, dosato in chicchi millimetrici.
Eppure, non c’è solo cinismo in quell’abitudine. C’è la capacità tutta americana di trasformare l’ordinario in mito, di fare dei dettagli la linfa di un racconto nazionale. “Small is powerful”: se persino un confetto può diventare diplomazia, allora la politica resta, in fondo, arte del simbolo prima che del decreto. Paradosso? Forse. O ancora una lezione “Cacciariana”: la forma è sostanza, e il gusto (in tutti i sensi) orienta i destini collettivi.
Oggi, quarant’anni dopo, i leader studiano algoritmi di disinformazione mentre il Medio Oriente brucia tra missili e veti incrociati. Viene da chiedersi: se a Teheran e Tel Aviv circolasse un identico barattolo di jelly beans patriottiche — tre colori per due bandiere, una manciata di zucchero per ogni ultimatum — quante decisioni verrebbero rimasticate prima di esplodere?
Ed ecco l’appello finale, più serio di quanto sembri: nel pieno della crisi tra Iran e Israele, fermiamoci un attimo a masticare, letteralmente o metaforicamente. Lasciamo che il dolce sciolga l’acredine e ricordi ai decisori che anche la geopolitica, come la caramella di Reagan, può scegliere tra il sapore dell’escalation e quello di una tregua inattesa. Perché un mondo capace di condividere un barattolo è, se non più giusto, almeno meno amaro.
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