Img. ChatGPT

La rete abbaglia con trilioni di bit, eppure l’eterna domanda resta: dove comincia davvero la conoscenza? Dalla tabula rasa di Locke alle capriole algoritmiche di oggi, l’uomo tenta di distinguere il lampo del sapere dal banale luccichio dei dati.

Il feed scorre come un fiume in piena. Notifiche tintinnano, dashboard scintillanti snocciolano cifre: “347 zettabyte prodotti nel 2024” (dati IDC, 2024). In mezzo a questa cascata fragorosa, un ragazzo alza gli occhi dallo schermo e si chiede, con candida inquietudine: «Sto imparando qualcosa, o sto solo cliccando?» La scena sembra minuscola, ma racchiude il dilemma di un’epoca intera.

Scenario. La disputa tra empiristi e razionalisti non è mai stata così trendy. Gli uni avrebbero twittato GIF di sensazioni, gli altri avrebbero programmato filtri mentali per astrarre l’universale. Oggi l’AI collabora volentieri con entrambi: assorbe esperienze sensoriali (immagini, suoni, log) e sputa pattern astratti con aria sorniona.

Secondo il “Data & Trust Index” (EASA, 2024), solo il 28 % dei cittadini europei ritiene di “capire” le informazioni che condivide. Il resto? Naviga a vista, confidando in un autopilota algoritmica tanto fulmineo quanto opaco. Nel frattempo, l’educazione critica arranca: sei miliardi di persone online, tre miliardi di dubbi irrisolti.

Analisi ironica. Churchill  direbbe: «Mai nella storia dell’umanità così tanti hanno saputo così poco di ciò che credono di sapere». La battuta – sferzante come un colpo di spada – suonerebbe perfetta sulla home di Reddit. Perché il problema odierno non è l’ignoranza, ma l’illusione di onniscienza in formato push.

Ogni volta che un influencer proclama “lo dice la scienza!”, un filosofo arriva puntuale con la ricevuta di Kant: l’esperienza inizia, non esaurisce. Eppure, tra un meme malizioso e un tutorial lampo, la nuova tabula rasa rischia di essere la nostra soglia d’attenzione: quindici, dieci, forse sette secondi. Un record ronzante, ma non esattamente un trionfo dello spirito critico.

Parallelo storico. Nel 1940 il radar britannico trasformò la foschia della Manica in un vantaggio strategico: vedere oltre la nebbia salvò Londra (Archivio RAF, 1941). Oggi servirebbe un “radar cognitivo” per distinguere informazione da propaganda: senza di esso, rischiamo di scambiare lucciole digitali per lanterne epistemiche.

Implicazioni. Se la conoscenza è davvero “consapevolezza in azione”, come affermano i pedagogisti contemporanei, l’attuale sovraccarico informativo diventa una specie di giungla rutilante: rumorosa, affascinante, letale per chi non porta un machete metodologico.

Sul piano economico, le aziende che coltivano learning agility crescono del 25 % in produttività (McKinsey, 2023). Sul piano civico, però, l’alfabetizzazione critica rimane in stallo: programmi scolastici novecenteschi in un mondo che corre su fibra ottica. Senza un collante tra istituzioni, piattaforme varie e cittadini, la democrazia rischia di fare la fine del modem a 56k (qualcuno della mia generazione lo ricorderà): rumorosa, lenta, superata.

Chiusura morale‑pratica. Alla fine del giorno, la partita non si gioca tra Homo Sapiens e Machine Learning, ma tra la nostra pigrizia e il coraggio di “conoscere noi stessi”. Quindi: la prossima volta che un dato ti strizza l’occhio, chiediti perché dovrebbe importarti. Poi salva un link, leggi una fonte alternativa, discuti con chi non la pensa come te. È un gesto minuscolo, sì, ma è l’unico ponte stabile dentro la tempesta. Che ne dite di provarci oggi stesso?

«1660, Oxford – Robert Boyle fonda la Royal Society, motto: Nullius in verba (“non fidarti della parola di nessuno”). Tre secoli dopo, l’appello resta formidabile: verifica, sperimenta, ragiona. Anche quando l’algoritmo giura di aver già fatto il lavoro al posto tuo».

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