Da Paese “in rimorchio” a ponte di fiducia tra Washington e Bruxelles, il vertice riservato che infiamma la sinistra e rilancia il nostro ruolo geopolitico.

Chi avesse ancora dubbi sul ruolo che l’Italia può e deve recitare nello scacchiere internazionale farebbe bene a rivedere con attenzione l’incontro – per molti versi riservato – tra Giorgia Meloni e Donald Trump. È stato un appuntamento dalle tinte simboliche fortissime, ben più di una stretta di mano e due sorrisi di circostanza: la nostra premier è stata infatti investita da Washington del compito di mediatrice tra Stati Uniti ed Unione Europea. Un riconoscimento che, nel linguaggio diplomático, suona come un sigillo di fiducia verso Roma.
Eppure, come sempre, la sinistra italiana si è precipitata – col consueto livore – a bollare tutto come un fiasco, ritrattando in anticipo ogni possibile risultato. Tweet indignati, dichiarazioni di rito, immagini montate a tavolino: la narrazione è quella del fallimento annunciato. Ma chi è avvezzo alla retorica dell’inutilità sopravvaluta la propria capacità di distruggere i fatti con la sola forza delle parole. Perché, quando Trump e Meloni hanno scelto di ripararsi dietro le porte chiuse di un incontro riservato, sapevano bene che stavano tessendo una trama politica destinata a germogliare solo lontano dai riflettori.
Che cosa si sono detti? Quali piani per l’Europa? È qui che si gioca la partita più intrigante: un vertice ancora da svelare, affidato al ruolo di “Paese ponte” che Von der Leyen stessa ha voluto affidare all’Italia. Roma, una volta tanto, non è più pedina, ma protagonista. E non poteva essere altrimenti: in un’epoca in cui gli equilibri tra USA e UE vacillano come barche in piena tempesta, solo un’Italia forte, riconosciuta e rispettata, può tenere insieme gli spigoli che altrimenti rischierebbero di ferire entrambi.
Il bello di questa vicenda è che le immagini ufficiali non dicono tutto. Volti sereni nei corridoi della Casa Bianca ne restituiscono una versione “benedetta” per la stampa, ma i dettagli – sottratti all’occhio del pubblico – parlano di un’intesa politica che va al cuore delle esigenze europee: sicurezza energetica, collaborazioni commerciali rimodernate, strategie comuni sui grandi dossier geopolitici. Una vera “esegesi” del potere, insomma, che speriamo sbocci presto in un vertice con von der Leyen nella città che dell’Europa è culla: Roma.
A conti fatti, il viaggio del Premier Meloni negli Stati Uniti chiude definitivamente una fase in cui l’Italia arrancava in scia agli altri grandi Paesi. Chi governa con realismo e coraggio lo sa: la politica, se dignitosa, non si fa di chiacchiere, ma di fatti. E i fatti – incontro riservato, investitura, prossime tappe di un dialogo esclusivo – parlano una lingua solida. Sarà interessante osservare se Macron & Co. sapranno riconoscere il nuovo baricentro europeo o continueranno a remare contro, sordi alla logica di un’alleanza che non può che rafforzare tutti.
Insomma, se nella politica valgono le simbologie, Giorgia Meloni ha conquistato già metà della battaglia. E se qualcuno racconta il vuoto, forse è solo perché teme di dover rileggere le cifre di un’Italia finalmente protagonista. In fondo, l’orizzonte di un vertice Trump‑Von der Leyen – nel luogo dove l’Europa ha preso forma – non è un miraggio: è un annuncio. E l’Italia, finalmente, non è più in coda.
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